SCRIVERE È SCAVARE

Mi presento come conviene a chiunque abbia qualcosa da scrivere e soprattutto da pensare. 
Sono Cristian Moriconi, un laureando in storia dell’arte alla Sapienza Università di Roma, luogo di lunghissima e prestigiosa tradizione  classico-umanistica. Tra i miei campi di ricerca, oltre alla storia dell’arte nella più ampia accezione possibile, ci sono il mondo sconfinato della filosofia e quello del linguaggio. Nello specifico mi occupo della filosofia calata in maniera realistica nella nostra vita e alle parole che abbiamo per articolarla: essendo convinto che, ogni persona sul pianeta, abbia il desiderio naturale di conoscere e di conoscersi.

Ante litteram per il Salotto non possiamo che chiederti del tuo interesse per la musica. Rivelaci delle tue composizioni, delle tematiche a te care. Raccontaci soprattutto in che modo la musica accompagna la tua vita.

Vorrei anzitutto ringraziarvi per questa occasione e complimentarmi con voi per l’importante ruolo di comunicazione e progettazione culturale che svolgete. 
La musica. Beh, la mia relazione con essa va avanti da almeno dieci anni, ero poco più che un bambino quando la conobbi, e ricordo tuttora il perché della prima canzone: era per dire al mondo che esistevo, che potevo lasciare un segno, e questo imprinting esistenziale è pressoché identico e variato nel tempo. Scrivo musica come un taglio di Fontana: per lasciare traccia di me e superare quella stessa realtà spazio-temporale in cui esisto.  Gli stati d’animo limati dalla ragione ovvero i temi delle mie canzoni, sono stati per lungo tempo legati ad un certo esistenzialismo di fondo, abbastanza pessimistico, e con il progredire della penna e dello spirito hanno raggiunto una luce, una salvezza, una universalità, probabilmente dovute ai miei studi storico artistici e filosofici. In un preciso momento della mia vita ho iniziato ad usare la scrittura e la musica come simboli di qualcos’altro, con la speranza di giungere nell’intimità delle persone. La musica per me è un simbolo metafisico. Nella vita quotidiana, invece, è come un termo rilevatore, un indicatore di salute, un qualcosa che scatta al momento dell’eccesso emotivo. Se scrivo è perché devo auto analizzarmi dopo uno shock o comprendere un fenomeno esteriore.  Spero d’essere stato chiaro. 

Scrivere è introspezione, è guardare fuori, è tentare di comunicare, di capire… non ti chiederemo solo quello che vedi ma quello che vorresti vedere?

Scrivere è scavare. La realtà ha dei segreti celati da quello che Schopenhauer, rielaborando un concetto dell’antica filosofia induista, definiva il “Velo di Maya” o il velo dell’illusione, tirato via il quale vediamo il fenomeno qui e adesso. Scrivere è togliere quel velo, quell’impedimento ottico che ci confonde non solo la strada ma soprattutto il paesaggio: è scavare oltre la prima immagine che ci facciamo del mondo sulla base della nostra conoscenza. Quello che vedo non sarà mai sufficiente, perché c’è sempre qualcosa che sfugge alla mia visione. Però mi accorgo di molte cose. La prima che mi viene in mente è il desiderio naturale di sapere presente già nell’infanzia, quegli infiniti “perché” che ogni bambino pronuncia, quell’approcciarsi alla vita in maniera libera e priva di irrigidimenti e prigioni mentali, forse dovremmo imparare più dai bambini che dagli anziani. La scrittura, perciò, può penetrare i lati nascosti della realtà e farci tornare il desiderio di conoscenza. Quello che vorrei vedere è più curiosità nelle persone, più senso critico, maggior articolazione di pensiero, una sana pratica di ribellione, il PRETENDERE il proprio tempo, una coscienza storica per orientarsi nel presente e soprattutto nel futuro, meno dipendenza da intrattenimento mediocre, nessun rispetto per i “capitani” ferini della politica che infangano i diritti cardine dell’uomo con la leggerezza e la meschinità di chi scrive uno spot pubblicitario per assuefatti da oggetti inutili. Sono convinto che la “Vivosofia” (neologismo di mia recente fondazione), ovvero la filosofia dei vivi, calata nella vita reale, la conoscenza dell’essere applicata alle esigenze pratiche, possa davvero illuminare il visibile e l’invisibile, produrre un cambiamento considerevole nelle nostre esistenze, ma per fare questo bisogna ripartire dalle radici dell’educazione. E dove piantare queste nuove radici? fondando delle nuove accademie, le accademie 2.0, dove divulgare e mettere a disposizione di tutti quella meravigliosa storia delle idee che è la filosofia. Forse mi sono dilungato troppo ma ho le idee molto chiare sul mondo che vedo e su quello che vorrei vedere. 

“Senza immaginazione, non c’è salvezza” scrisse G C Argan. Valido sempre, validissimo adesso?

La quaestio è molto ampia ma sarò brevissimo. Come pensatore non dedito al misticismo vorrei sperare in una salvezza terrena, che sia il prodotto delle nostre scelte consapevoli e ragionate. Essendo il mondo, dopo averlo scavato, il prodotto di un’idea, come ci insegna Platone, è impensabile una salvezza o una redenzione di tipo umano senza una preesistente immaginazione e dunque un’idea. Giulio Carlo Argan, da grande intellettuale poliedrico qual era ancor prima che riferimento per ogni storico dell’arte passato e contemporaneo, questo lo sapeva bene, avendo sempre proposto egli una lettura dell’arte di tipo sociale-umanistico e avendo sperato (nella conclusione del suo canonico manuale d’arte moderna), in una palingenesi totale della società mediante l’arte calata attivamente nelle nostre vite con l’obiettivo fermo di giungerle alla libertà assoluta da sistemi di potere mentali ed economici. 

Vivi nel Trastevere! Un Carrefour di Storia, di storie, di umanità… Piazze, fontane, botteghe, giardini, vicoli, colori, colori… Ma anche la consapevolezza di un mondo sotterraneo e di un cielo che abbraccia meravigliosi palazzi. Un vivere nella strada. Narraci del tuo quartiere… La bellezza influenza il tuo pensiero, il tuo stato d’animo? La bellezza come bene di prima necessità.

L’ambiente che viviamo necessariamente ci influenza e non solo, apporta dei cambiamenti drastici nelle nostre mappature esistenziali con le quali esploriamo il mondo. Beninteso, l’esteriorità non va presa con determinismo, esistono geni straordinari che provengono da posti realmente impensabili e socialmente degenerati. Perciò l’equilibrio tra individuo e ambiente (nel mio caso, una delle città se non La città storico artisticamente più importante al mondo) è fondamentale per una perfetta interazione. Per ciò che concerne la mia creatività Trastevere (e in generale il centro storico di Roma) è un elemento decisivo; non tanto per la bellezza che rimane un’astrazione mutevole legata a tempi, luoghi, e culture differenti, ma per le essenze che si respirano e che trasudano da palazzi medievali, da piazze silenziose nella loro maestosità, dalla Basilica di Santa Cecilia con la sua perfezione eterea, dalle rovine della Repubblica Romana, tutto a Roma è la prova empirica dell’esistenza dell’arte e, per ritornare alla domanda precedente, d’una idea preesistente alla creazione. 

Sei uno studente in Storia dell’arte, l’arte contemporanea è un mezzo cruciale per la divulgazione dei pensieri odierni. Spesso è percepita come un linguaggio ermetico, non pensi che dovrebbe invece invadere le nostre strade per educare, provocare, sedurre?

Sicuramente l’arte (ossia la comunicazione) va di pari passo con il pensiero e la volontà di esistere dell’artista e su questo non ho dubbi. Essendo però il gesto artistico essenzialmente espletato nel mondo, a contatto con individui enormemente diversi, divenuto nei secoli parte del tessuto urbanistico della città, non può non avere una funzione educativa notevole anche inconsciamente, mi spiego meglio. Il Vittoriano di Piazza Venezia a Roma trasmette necessariamente idee e valori risorgimentali ben precisi, e non c’è alcun bisogno che il cittadino conosca e riconosca minuziosamente la simbologia greca e romana presente sull’altare (o identifichi le quadrighe poste sui propilei), ma tutto è lì evidente, quello che vuole comunicarci è manifesto proprio perché pensato per esserlo quindi: sacrificio, religiosità, patriottismo, maestosità, antichità, tradizione, saggezza. A determinati monumenti tutti rispondono sia consciamente, con lo studio approfondito, sia inconsciamente, con la ricezione passiva d’un pensiero predeterminato a monte. Perciò, passando da un’arte ideologica/pubblica ad una più interiormente riversa, possiamo rintracciare il medesimo focus: l’arte viene percepita da chiunque anche senza l’approccio specialistico (che rimane di pochi) e può interagire, superficialmente intendo, mediante il senso più nobile (come lo definivano in passato): la vista. Mi viene in mente quel celebre sottotitolo dello Zarathustra di Nietzsche: “un libro per tutti e per nessuno”, ecco l’arte giunge a tutti e allo stesso tempo resta celata nelle sue profondità ultime: questo è quello che penso.

Intervista a Cristian Moriconi

Laurence Jeantet

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